Dopo aver toccato nel 2021 un minimo del 2,1%, nel 2022 è previsto un aumento al 3,8% del flusso di nuovi crediti deteriorati delle imprese. Il rialzo è dovuto alla fine delle misure emergenziali a sostegno delle imprese, che hanno assicurato la tenuta del sistema produttivo e impedito un aumento dei default. Il peggioramento sarà però solo temporaneo: già nel 2023, il tasso di deterioramento è atteso in diminuzione al 3,3%, percentuale di poco superiore ai livelli pre-Covid del 2019 (2,9%) ma molto distante dai picchi del 2012 (7,5%).
A livello dimensionale, fra il 2021 e il 2023, la crescita dei tassi di deterioramento toccherà tutte le aziende, con effetti maggiori per le microimprese e più contenuti per le altre fasce dimensionali; in tutti i casi i livelli saranno comunque ampiamenti inferiori ai picchi del 2012.
Dal punto di vista settoriale, il settore dei servizi (dal 2,8% del 2019 al 3,7% del 2023) sarà quello più penalizzato dagli impatti della pandemia, seguito dall’industria (dal 2,3% del 2019 al 2,5% del 2023). Invece, si osservano dati in miglioramento rispetto al pre-Covid, nell’agricoltura (dal 3,1% del 2019 al 2,7% del 2023) e soprattutto nelle costruzioni (dal 4,0% del 2019 al 3,5% del 2023) grazie agli impatti molto positivi che il PNRR può generare nel comparto.
Le microimprese operanti nel settore terziario e le piccole imprese operanti nell’industria sono i cluster per cui al termine del periodo di previsione si rilevano i peggioramenti più marcati rispetto al pre-Covid. Diversamente, le piccole e medie imprese delle costruzioni fanno registrare i cali dei tassi più significativi.
Le operazioni con GACS nel 2021 hanno registrato una contrazione sia per numero di deal che per importi ceduti: sono 7 le cartolarizzazioni per le quali è stata richiesta la Garanzia Statale, per un valore complessivo di GBV pari a 11,27 miliardi di euro di crediti deteriorati ceduti contro i 15,8 miliardi del 2020 (ceduti attraverso 10 operazioni).
Con riferimento alla la correzione registrata sui mercati azionari dall’inizio dell’anno, la maggioranza dei commentatori vede come causa principale le attese per un rialzo dei tassi di interesse nel corso dell’anno, legate ad una inversione di tendenza nella politica monetaria che da un lato vede in larga misura esaurito il compito di contrastare le conseguenze negative della pandemia e dall’altro deve preoccuparsi e occuparsi di tensioni inflazionistiche che non si vedevano da decenni.